Molte persone si domandano se sia più conveniente aprire una partita Iva, oppure dedicarsi al lavoro dipendente. Sicuramente, nel 2023 bisognerà fare dei calcoli diversi rispetto gli anni precedenti. È vero infatti che si estenderò la flat tax a tutte le partite Ive che hanno un’entrata annuale fino a 85 mila euro. Questa nuova misura favorisce i lavoratori autonomi se confrontati con i dipendenti. A segnalare questa sproporzione è stato uno studio condotto dal Servizio politiche fiscali di Uil. Dalla ricerca è emerso che i lavoratori autonomi che rispettino la soglia di reddito dovranno versare fino all’800% in meno di Irpef. Questo rispetto invece ai lavoratori dipendenti. Si tratta di una più che evidente diseguaglianza che andrà a gravare sulle tasse di reddito delle persone fisiche. Nello specifico, peserà sui pensionati e dipendenti. La situazione ha spinto Uil, insieme a Cisl e Cgil, a chiedere al governo Meloni di rivedere la misura. Per lo meno, in alternativa, cercare di aumentare anche lo stipendio di tutti i lavoratori dipendenti con il taglio al cuneo fiscale.
Partita Iva o lavoro dipendente: chi guadagna di più nel 2023
Stando all’analisi condotta da Uil, i lavoratori autonomi che hanno un fatturato annuale inferiore a 85 mila euro, dovranno pagare meno di Irpef rispetto un lavoratore subordinato. In particolare si tratta di 27 mila euro di differenza, a parità di entrate annuali. Il fatto è che, nel regime forfettario, la tassa piatta si paga al 15%. I lavoratori dipendenti devono invece pagare l’Irpef al 23% o, a seconda dello stipendio, al 43%. Se si tiene in conto del risparmio dell’800% dei lavoratori autonomi rispetto il pagamento dell’Irpef dei subordinati, si può capire la differenza sostanziale. In più, bisogna anche tenere in conto la tassa piatta incrementale che prevede l’aliquota al 15% per tutte le partite Ive che rientrano nei 40 mila euro di guadagno extra.
Partita Iva o lavoro dipendente: la scelta più conveniente
La Uil ci tiene a precisare che esiste uno squilibrio tra lavoratori in possesso di partita Ive e quelli dipendenti. Il discorso è valido sia per le fasce di reddito più basse, che per quelle più alte. Per fare un esempio, se un lavoratore autonomo del settore immobiliare raggiunge un reddito annuo pari a 73.100 euro, avrà un pagamento dell’Irpef di 8 mila euro. Questo se si tengono in considerazione i coefficienti di redditività che si contano per le partite Iva. Al pari di stipendio, un lavoratore dipendente dovrebbe versare all’Irpef 25 mila euro. Ugualmente, accade a un pensionato. Gli autonomi che lavorano invece nel settore non alimentare e hanno un reddito pari a 46 mila euro, allora dovranno versare 5 mila euro di Irpef, a discapito invece dei 13 mila euro per pensionati e dipendenti. Si tratta di una sostanziale differenza che, secondo il segretario confederale di Uil, Domenico Proietti, non ha alcuna giustificazione. Stando ai dati del ministero dell’Economia, i lavoratori subordinati hanno pagato il 61,1% dell’intera Irpef, al netto, di tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda i pensionati, questi hanno versato il 35,2%. Facendo un rapido calcolo si nota come la percentuale complessiva ammonti al 96,3% sul totale. Vien da sé che coloro che sono in possesso di partite Iva danno un contributo del 4%.